La recente visita del primo ministro pakistano Yusuf Gilani a Pechino è stata un’importante occasione per rafforzare lo stretto legame esistente tra Cina e Pakistan. Il consolidamento delle relazioni sino-pakistane degli ultimi anni è legato alla competizione in corso tra Stati Uniti e Cina in Asia Centrale e Meridionale, nonché al peggioramento dei rapporti tra Washington e Islamabad. La Cina è stato l’unico paese ad aver sostenuto diplomaticamente il Pakistan in seguito alla vicenda legata alla presunta esecuzione di Osama Bin Laden e l’ultima visita del premier pakistano a Pechino è stata contraddistinta dal sostegno cinese al rispetto dell’integrità territoriale del Pakistan. A margine dell’incontro bilaterale l’attenzione dei media si è focalizzata, inoltre, sul porto di Gwadar, un importante nodo strategico del Belucistan pakistano, realizzato nel corso dell’ultimo decennio grazie al concreto aiuto finanziario cinese. Il ministro della difesa pakistano Ahmed Mukhtar ha rilasciato una dichiarazione alla stampa secondo la quale il Pakistan sarebbe favorevole a un’eventuale presenza nel porto di Gwadar di una base navale cinese. Nonostante la Cina abbia ufficialmente smentito la dichiarazione del ministro pakistano, l’attenzione cinese per Gwadar rappresenta sia per la Cina che per il Pakistan una fondamentale risorsa per il futuro; la presenza di Pechino lungo le coste bagnate dal Mar Arabico è vista in maniera fortemente negativa da parte di diversi attori internazionali, su tutti India e Stati Uniti. La questione può portare a diverse considerazioni di carattere geopolitico, ma si può collegare alla stabilità stessa e alla sicurezza interna del Pakistan, data l’instabile e rilevante regione in cui si trova Gwadar, il Belucistan.
L’importanza strategica del porto di Gwadar e gli interessi della Cina
Il porto di Gwadar, situato in una regione ricca di gas naturale, carbone e minerali, è un importante nodo di collegamento fra tre aree fondamentali dal punto di vista geostrategico: il Vicino Oriente, l’Asia Meridionale e l’Asia Centrale. La città di Gwadar si trova a soli 72 km dal confine iraniano e dista 400 km dallo Stretto di Hormuz nel Golfo Persico, l’importante rotta di trasporto di petrolio che collega via mare l’Europa, l’Asia occidentale e l’Africa all’Asia orientale. L’area attorno a Gwadar può essere una fondamentale base di controllo delle rotte marittime provenienti dall’Europa, dall’Asia orientale e dall’Africa grazie ai suoi collegamenti con lo Stretto di Hormuz, con il Mar Rosso e il Golfo Persico. Il porto pakistano è, inoltre, il punto d’accesso per l’Oceano Indiano più vicino per i paesi dell’Asia Centrale. Data la seguente posizione geografica, appare evidente il motivo per cui la città di Gwadar attiri l’attenzione di diversi paesi asiatici e non solo. Pechino intensificò il proprio impegno a Gwadar subito dopo l’intervento statunitense in Afghanistan, investendo circa 200 milioni di dollari durante la prima fase di progettazione, completata come previsto nel 2005. L’attenzione cinese per Gwadar è connessa a tre aspetti fondamentali: la storica alleanza con il Pakistan, gli interessi economici e le questioni legate all’approvvigionamento energetico. Per quanto riguarda i risvolti economici, l’attenzione di Pechino per la città pakistana è legata alle possibili rotte commerciali che potrebbero collegare lo Xinjiang al Mar Arabico. La realizzazione di strade e ferrovie connesse a Gwadar garantirebbe l’afflusso di beni cinesi in Asia Centrale, sostenendo lo sviluppo delle regioni occidentali della Cina. Gwadar dista dallo Xinjiang 1500 km circa, mentre i porti della costa orientale cinese si trovano a 3500 km da Urumqi. Il territorio pakistano farebbe da transito, inoltre, di potenziali gasdotti e oleodotti collegati allo Xinjiang, rendendo possibile la diversificazione cinese delle proprie fonti di energia e riducendo la dipendenza dal trasporto via mare del petrolio, in particolar modo dallo Stretto di Hormuz e da quello di Malacca. L’eccessiva dipendenza cinese da queste fonti renderebbe, infatti, l’approvvigionamento energetico troppo rischioso per la propria sicurezza. La presenza a Gwadar è valutata, invece, come un’alternativa importante al fine di ottenere le risorse necessarie provenienti dal Medio Oriente, collegando il porto pakistano all’Iran, dall’Africa e dall’Asia Centrale.
La percezione statunitense della presenza cinese a Gwadar
L’impegno cinese alla costruzione del porto di Gwadar è stato valutato fin dal principio negativamente da Stati Uniti e India. Sia Washington che Delhi osservano la presenza cinese nel Mar Arabico collegabile alla strategia del “filo di perle” cinese attorno all’Oceano Indiano. Attraverso la creazione di basi navali in punti strategici dal Vicino Oriente al Mar Cinese Meridionale, la Cina metterebbe in pratica un disegno di carattere sia offensivo che difensivo per proteggere i propri interessi energetici e di sicurezza. Inoltre, dal punto di vista statunitense, è percepito negativamente il controllo da parte cinese delle rotte commerciali marittime attraverso le quali avviene il trasporto del petrolio. Per quanto concerne Gwadar, secondo Washington e Delhi, la Cina avrebbe la reale intenzione di costruire una propria base navale, dotandosi di sofisticate apparecchiature elettroniche in grado di monitorare il traffico navale dello Stretto di Hormuz e del Mar Arabico, nonché l’attività delle marine militari statunitense e indiana. L’attenzione degli Stati Uniti per Gwadar e la possibile presenza cinese nella città è legata a questioni di carattere militare, geostrategico e di approvvigionamento delle risorse energetiche. Gli Stati Uniti importano una grande quantità di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz e il Golfo Persico. Dal punto di vista statunitense la presenza di un pericoloso rivale a Gwadar è valutata come una minaccia per il proprio rifornimento di risorse e per la sicurezza energetica degli alleati. L’approvvigionamento energetico è, inoltre, legato a importanti implicazioni di tipo politico e di influenza strategica. Nel caso in cui ci fosse una forte presenza cinese in Pakistan, attraverso la creazione di una propria base navale a Gwadar, non si registrerebbe solamente la perdita di influenza statunitense su Islamabad; le risorse provenienti dal Medio Oriente, infatti, potrebbero essere indirizzate nelle province cinesi orientali eludendo lo Stretto di Malacca, sotto controllo statunitense, ed eventualmente giungere in futuro in Giappone e Corea del Sud. Si potrebbe dunque sviluppare una nuova rotta energetica, con il declino dell’importanza strategica dello Stretto di Malacca, influenzando decisamente la geopolitica dell’Asia Meridionale e Orientale. Una delle preoccupazioni fondamentali degli Stati Uniti è che il nodo strategico di Gwadar non solo riduca la dipendenza cinese dallo Stretto di Malacca, ma crei degli interessi energetici in comune tra Pakistan, Cina, Giappone e Corea del Sud, rendendo questi ultimi potenzialmente più vicini alla Cina che all’influenza statunitense. Un altro motivo di preoccupazione per gli Stati Uniti riguarda il controllo del Pakistan. Il paese ha una notevole importanza per la sua particolare posizione poiché rappresenta il naturale accesso dei paesi dell’Asia Centrale al Mar Arabico e all’Oceano Indiano. Controllando Islamabad, si possono controllare le importazioni di idrocarburi dell’Asia Orientale e le esportazioni di risorse dirette al Mar Arabico. L’influenza statunitense sul paese non è solo servita nel passato a garantire il soddisfacimento degli interessi di Washington in Afghanistan, ma in generale a sostenere l’azione statunitense in Vicino Oriente, Asia Centrale e nell’Oceano Indiano. I paesi confinanti con il Pakistan, Afghanistan, Iran, India e Cina sono gli Stati sui quali si concentrerà l’attenzione futura della politica estera della Casa Bianca. E’ evidente come un Pakistan troppo strettamente legato alla Cina, primo grande concorrente dell’area, non sia gradito a Washington. La presenza cinese a Gwadar, secondo l’ottica degli Stati Uniti, renderà Islamabad sempre più dipendente dalla Cina, danneggiando gli interessi geostrategici statunitensi in Pakistan e conseguentemente in Medio Oriente, Asia Centrale e nell’Oceano Indiano.
Gwadar, il Belucistan e la “balcanizzazione” del Pakistan
E’ evidente come da alcuni mesi i rapporti tra Stati Uniti e Pakistan siano sempre più tesi. La vicenda di Gwadar e lo stretto rapporto esistente tra Islamabad e Pechino offrono una spiegazione dell’allontanamento tra i due paesi. Nei prossimi mesi l’attenzione di Washington sul Pakistan sarà sempre più forte, avendo come ultimo obiettivo, comunque, l’ostacolare gli interessi cinesi nell’area. Gwadar si trova in Belucistan, una delle regioni più povere del Pakistan e contraddistinta fin dagli anni dell’indipendenza pakistana da un movimento insurrezionale e indipendentista. Diversi analisti del Pentagono e numerosi think-thanks statunitensi, come è il caso del neoconservatore Project for the New American Century (PNAC), hanno posto l’attenzione nei confronti del Belucistan1. Considerato il movimento indipendentista beluci, le diverse etnie presenti in Pakistan e le implicazioni di carattere geopolitico, è in auge nel corso degli ultimi anni la strategia volta al favorire la “balcanizzazione” del Pakistan, lo smembramento del paese in diverse entità statali per motivi geostrategici2. Selig S. Harrison, direttore dell’Asian Program presso il Center for International Policy, ex membro del Carnegie Endowment for International Peace ed ex giornalista, sosteneva nel 2008 il fatto che nel caso in cui non si fosse verificata a breve termine una ristrutturazione generale della società multietnica del Pakistan, lo Stato asiatico sarebbe di lì a poco collassato. Lo stesso Harrison ha sostenuto la possibile implosione pakistana in tre distinte entità statali, ricalcando le differenze etniche presenti nel paese: un’area pashtun nel Nord-Ovest da unire all’Afghanistan con l’eliminazione della linea Durand;,liminazione della linea Durand tista beluco una sindhi nel Sud-Est unita all’area beluci del Sud-Ovest con la nascita del Belucistan eventualmente unificato alla stessa minoranza etnica presente in Iran; il territorio dei punjab nel Nord-Est, l’unica parte che rimarrebbe al Pakistan. Harrison spiega che l’avversione della minoranza pashtun nei confronti dei punjab, i quali avrebbero soggiogato dal 1947 le minoranze del Pakistan unificato sotto la loro guida appropriandosi delle ricche risorse presenti nelle restanti province, è legata strettamente al sostegno delle popolazioni Nord-Occidentali per i talebani lungo il confine afghano-pakistano. In questo modo, secondo Harrison, il Pakistan non riuscirebbe in alcun modo a garantire una cooperazione adeguata ai desideri statunitensi in Afghanistan a causa delle ricordate divisioni etniche3. Le implicazioni della strategia per la “balcanizzazione” del Pakistan sarebbero principalmente tre: mettere in sicurezza i corridoi energetici strategici seguendo gli interessi statunitensi; bloccare l’accesso cinese alle risorse presenti in Asia Centrale e i programmi legati al porto di Gwadar, nonché i potenziali collegamenti con il petrolio iraniano; destabilizzare lo stesso Iran, promuovendo l’indipendenza del Belucistan. Naturalmente si tratta di discorsi puramente teorici, e il reale collasso del Pakistan porterebbe a delle conseguenze imprevedibili, vista la presenza di armi nucleari, una popolazione di 187 milioni di abitanti e l’area delicata in cui si trova il Pakistan, confinante con Iran, Cina, India e Afghanistan, quest’ultimo, come l’Iraq, in una perdurante situazione di guerra. E’ significativo comunque il fatto che i raid statunitensi in Pakistan, lungo il confine con l’Afghanistan, siano in continuo aumento, rafforzando nello stesso tempo il nazionalismo pashtun; contemporaneamente, il movimento indipendentista beluci ha registrato negli ultimi tempi considerevoli sostegni negli Stati Uniti, come testimonia l’incontro tenutosi a Washington e organizzato dalla Baloch Conference of North America presso il Carnegie Endowment for International Peace lo scorso 30 aprile. Durante la conferenza il Pakistan è stato descritto come un paese terrorista e chiaramente inadatto all’alleanza con gli Stati Uniti, spingendo per una pacifica “balcanizzazione” del paese con conseguente smembramento dello stesso4. L’India, sostenitrice da tempo dell’indipendenza del Belucistan, vedrebbe con favore un simile scenario perché, oltre a far collassare lo storico nemico, colpirebbe gli interessi della Cina e favorirebbe il diretto accesso indiano alle risorse centro-asiatiche. Il problema è che la nascita di nuove entità statali su basi etniche sarebbe controproducente per la stessa Delhi, poiché potrebbe verificarsi la recrudescenza delle spinte indipendentiste di diversi movimenti autonomisti presenti negli Stati indiani, in particolar modo in Kashmir. La questione è dunque molto complicata e foriera di diverse implicazioni geopolitiche. Bisognerà attendere gli sviluppi dei prossimi mesi per comprendere dove porteranno gli attuali contrasti tra Stati Uniti e Pakistan. Quest’ultimo, non solo appoggiato dalla Cina, ma recentemente anche dall’Arabia Saudita, considerato l’importante sostegno offerto da Islamabad alla politica saudita di contrapposizione ai movimenti insurrezionali in Bahrein e nel resto del Vicino Oriente, nonché al ruolo di guida del mondo musulmano-sunnita ricoperto da Riyadh in contrapposizione all’Iran.
*Francesco Brunello Zanitti, Dottore in Storia della società e della cultura contemporanea (Università di Trieste). In “Eurasia” ha pubblicato Neoconservatorismo americano e neorevisionismo israeliano: un confronto (nr. 3/2010, pp. 109-121).
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http://www.islamabadtimesonline.com/beijing-washington-dc-and-the-gwadar-port-the-new-game-plan-is-not-that-new%E2%80%A6/
- http://www.armedforcesjournal.com/2006/06/1833899
- http://www.nytimes.com/2008/02/01/opinion/01harrison.html
- http://www.crisisbalochistan.com/secondary_menu/news/2011-balochistan-international-conference-washington-dc-usa.html